ANSIA E ATTACCHI DI PANICO DAP Gli attacchi di panico possono costituire un vero e proprio disturbo definito come Disturbo di Panico (DP). Fino a poco tempo fa si parlava di Disturbo da Attacchi di panico (DAP), in quanto questo era la definizione nella versione precedente del DSM. Di attacchi di panico ne soffrono, secondo il DSM IV, fino a una persona su 25 a seconda del sesso di appartenenza (un uomo ogni due donne), della fascia d’età (più del 35% nell’età compresa tra i 25 e i 35 anni) e altri fattori come le dimensioni della città e il paese in cui si vive. Gli attacchi di panico appaiono soprattutto durante l’adolescenza o la prima età adulta e, anche se le cause precise non sono chiare, sembra esserci un nesso con le più importanti fasi di transizione della vita che portano inevitabilmente una certa quantità di stress e ansia: gli esami scolastici e universitari, il matrimonio, il primo figlio, cambiare lavoro o posizione lavorativa, e così via, per cui non sono rare situazioni in cui l’esordio appare per esempio intorno ai 30 anni, intorno ai 40 e così via. Segni e Sintomi del DAP o Disturbo di Panico Spesso gli attacchi di panico si manifestano quando ci si trova lontani da casa, ma possono insorgere in qualsiasi luogo e momento. I sintomi dell’attacco di panico si sviluppano improvvisamente e raggiungono il picco massimo di intensità entro 10 minuti. La maggior parte degli attacchi di panico si esaurisce in 20-30 minuti e raramente dura più di un’ora. Elenco dei sintomi:
La persona che soffre di DAP sviluppa un’intensa paura alla sola idea di avere un altro attacco. Questa paura – chiamata ansia anticipatoria o paura della paura – può condizionare in modo evidente lo stile di vita compromettendo lo svolgimento delle normali attività quotidiane (lavoro, sport, vita sociale). Prima di intraprendere qualsiasi trattamento per il disturbo da attacchi di panico, è consigliabile sottoporsi ad analisi mediche allo scopo di escludere altre possibili cause dei sintomi provati. Numerose altre condizioni, infatti, possono causare sintomi simili a quelli del panico, come un livello eccessivo dell’ormone tiroideo, alcuni tipi di epilessia o aritmie cardiache (ossia disturbi nel ritmo del battito cardiaco). I trattamenti per la cura del disturbo di panico riconosciuti come più efficaci sono la farmacoterapia e la psicoterapia. La terapia farmacologica è a base di benzodiazepine e antidepressivi di nuova generazione. Talvolta questo trattamento risulta risolutivo, ma frequentemente, all’interruzione della farmacoterapia, la sintomatologia si ripresenta. I farmaci, infatti, in tempi relativamente brevi riducono l’intensità dei sintomi che caratterizzano il disturbo, ma sembra lascino inalterate le sue cause. La terapia farmacologica ha, come risultato diretto, la riduzione delle reazioni neurovegetative coinvolte nell’attacco di panico. D’altra parte i farmaci, abbassando i livelli di sofferenza soggettiva e d’ansia di chi ha un disturbo di panico, creano le condizioni favorevoli per un intervento psicoterapeutico efficace. Per tali motivi spesso si consiglia al paziente di seguire sia un trattamento integrato psicofarmacologico che sfrutti i benefici e i vantaggi di entrambi gli approcci. DISTURBI DEPRESSIVI La Depressione Maggiore è un grave disturbo che colpisce ogni anno circa il 5% della popolazione. Disturbo Depressivo e Depressione Maggiore Diversamente da una normale sensazione di tristezza o di un passeggero stato di cattivo umore, la Depressione Maggiore presenta caratteristiche di persistenza e può interferire pesantemente sul modo di pensare di un individuo, sul suo comportamento, sulle condizioni dell’umore, sull’attività e il benessere fisico. Una considerevole parte (oltre la metà) di coloro che sono stati colpiti da un primo episodio di depressione potranno presentare altri episodi depressivi durante il resto della vita. Alcune persone sono colpite da più episodi durante l’anno; in questo caso si parla di Depressione Maggiore Ricorrente. Qualora non vengano curati, gli episodi di depressione possono durare dai sei mesi a un anno. Segni e Sintomi nell’Episodio di Depressione Maggiore L’episodio depressivo maggiore è caratterizzato da sintomi che durano almeno due settimane causando una compromissione significativa del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. Fra i principali sintomi si segnalano:
Per parlare di episodio depressivo maggiore è necessaria la presenza di almeno cinque dei sintomi sopra elencati. Nella maggior parte dei casi però la depressione si configura come disturbo depressivo maggiore, cioè un decorso clinico caratterizzato da più episodi depressivi maggiori; nel 50-60% dei casi, infatti, un episodio depressivo maggiore sarà seguito da un ulteriore episodio depressivo, portando quindi alla formazione di un disturbo depressivo. Terapia Psico-Farmacologica della Depressione Maggiore Anche se la Depressione Maggiore può essere una malattia molto grave può essere molto ben curata. Tra l’80 e il 90% di coloro che ne soffrono possono essere curati efficacemente e tornare alle loro normali attività e ritmo di vita. La depressione può richiedere un trattamento a lungo termine ma non bisogna scoraggiarsi: la maggior parte delle persone depresse ha avuto notevoli benefici dal trattamento individuato dallo specialista. Alcuni esempi di complicanze associate al non trattamento del disturbo depressivo maggiore includono:
Esistono trattamenti farmacologici e trattamenti psicoterapici. Le psicoterapie e i trattamenti combinati (psicoterapia associata alla farmacoterapia), comunque, risultano essere più efficaci nella prevenzione delle ricadute rispetto al solo trattamento farmacologico. La psicoterapia ha la funzione di modificare l’atteggiamento del soggetto di fronte ai suo sintomi e di modificare alcuni aspetti della personalità (per alcune psicoterapie dinamiche). Il trattamento farmacologico della depressione si rivela cruciale soprattutto nei casi in cui il disturbo si presenta in forma grave. I farmaci maggiormente utilizzati per la cura della depressione sono il prozac, il citalopram, lo zoloft, l’efexor, anafranil, il wellbutrin, cipralex e il litio. Per verificare quali siano gli effetti dei farmaci è necessario attendere tra le 2 e le 4 settimane. Nei casi in cui il quadro depressivo risulti particolarmente grave, è necessario ricorrere a più trattamenti contemporaneamente (es. interventi di supporto, psicoterapia, farmacoterapia) e, eventualmente, a ricoveri ospedalieri o in contesti protetti ove scongiurare agiti autolesivi.
Il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) è uno dei disturbi d’ansia più frequenti ed è generalmente caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni, anche se, in alcuni casi, si possono presentare ossessioni senza compulsioni e viceversa. Il Disturbo Ossessivo–Compulsivo esordisce più spesso in età giovanile tuttavia i pazienti giungono all’osservazione specialistica tra i 20 e i 30 anni, in media dopo 5-10 anni di malattia. La causa di tale ritardo nella diagnosi, oltre che a problemi riconducibili alla vergogna e allo stigma, è legata al fatto che il disturbo, almeno in alcuni casi, può essere compatibile con discreti livelli di funzionamento e pertanto la richiesta d’intervento psicologico o psichiatrico viene differita nel tempo.! Segni e Sintomi del Disturbo Ossessivo Compulsivo Il tema ossessivo dominante è il male, il rischio o il pericolo e le ossessioni più comuni sono la contaminazione, il dubbio, la perdita e l’aggressività. Tipicamente, i soggetti con disturbo ossessivo compulsivo si sentono spinti a eseguire comportamenti intenzionali ripetitivi e afinalistici, chiamati rituali, per controbilanciare le proprie ossessioni: i lavaggi controbilanciano la contaminazione; i controlli, il dubbio; l’accumulo, la perdita. Essi possono evitare le persone contro cui temono di potersi comportare in maniera aggressiva. Possono sviluppare ossessioni per qualsiasi cosa e i rituali possono non essere connessi in modo logico al disagio ossessivo che alleviano. Per esempio, il disagio può svanire spontaneamente quando una persona che ha preoccupazioni di contaminazione si mette le mani in tasca. Successivamente, egli metterà ripetutamente le mani in tasca ogni volta che insorgono ossessioni di contaminazione. La maggior parte dei soggetti con disturbo ossessivo compulsivo è consapevole che le proprie ossessioni non riflettono rischi reali, e che i comportamenti reali e immaginari che mette in atto per alleviare le proprie preoccupazioni sono irrealistici ed eccessivi sino alla bizzarria. Terapia Psico Farmacologica Integrata del Disturbo Ossessivo Compulsivo Attualmente, in base a degli studi scientifici, gli unici trattamenti che sono risultati efficaci per la cura del disturbo ossessivo compulsivo sono il trattamento farmacologico e la psicoterapia, specie se combinati. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, molte ricerche documentano l’effetto dei farmaci antidepressivi SSRI (o inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) e della clomipramina (antidepressivo triciclico). Nonostante l’efficacia comprovata di questi farmaci anche tra coloro che presentano dei miglioramenti sono poche le persone che riescono a non avere più sintomi con il solo trattamento farmacologico. Per questo motivo, sono state proposte numerose strategie farmacologiche di potenziamento, basate sull’utilizzo di basse dosi di neurolettici o la combinazione di due farmaci ad azione serotoninergica, che mirano ad aumentare l’efficacia della terapia con i soli antidepressivi. Per questo tipo di interventi è però necessario rivolgersi a degli specialisti (Psichiatri). Tuttavia i farmaci e la psicoterapia non devono mai essere visti come alternativi l’uno rispetto all’altro, ma complementari. Psicoterapie L’intervento psicoterapico, come rapporto medico-paziente strutturato in forma di psicoterapia, dovrebbe fare sempre da sfondo a qualunque tipo di intervento biologico ed è in grado di influenzare a volte profondamente il quadro clinico; una percentuale di pazienti che può variare dal 30 al 40% infatti non risponde alle terapie farmacologiche. In questi casi, il trattamento psicoterapico (o quello integrato psicoterapico – farmacologico) è quello di prima scelta. Il vantaggio della somministrazione di farmaci sta nel fatto che, alleviando l’ansia e la depressione che contribuiscono alla persistenza dei sintomi, i pazienti si mostrano più collaborativi e cooperativi, consentendo al terapeuta di mettere in discussione alcuni focus disfunzionali della loro personalità già strutturata. INSONNIA E DISTURBI DEL SONNOGli esperti definiscono l’insonnia a un disturbo del sonno dovuto a una sua insufficienza qualitativa e quantitativa per una alterazione del ritmo sonno-veglia con prevalenza di quest’ultima. L’insonnia è dunque un sintomo più che una malattia e si può manifestare in molte affezioni acute c croniche; nella grande maggioranza dei casi non dipende da una malattia organica, ma è l’espressione di un disturbo funzionale che quasi costantemente si identifica con uno stato di squilibrio emotivo. L’ insonnia fa parte delle dissonnie, disturbi dovuti ad alterazioni di ritmo, quantità e qualità del sonno, così come le apnee notturne e le ipersonnie (narcolessia). Un altro gruppo di disturbi del sonno è quello delle parasonnie, caratterizzate dalla presenza di un evento anomalo e indesiderato nel corso del sonno, o nelle fasi di passaggio tra la veglia e il sonno. Sono parasonnie il sonnambulismo, il sonniloquio (parlare durante il sonno), gli incubi, l’enuresi (minzione involontaria), il bruxismo (digrignare i denti), la sindrome delle gambe senza riposo (movimenti involontari e prolungati delle gambe, che impediscono l’addormentamento). Segni e Sintomi dell’ InsonniaI sintomi dell’ insonnia tipicamente sono la difficoltà ad addormentarsi, una qualità del sonno scadente e risvegli frequenti. In caso di insonnia prolungata senza cause evidenti, per individuare il problema all’origine della patologia e la sua gravità sono utili registrazioni EEG per indagini sul tipo di onde cerebrali presenti e valutazione della respirazione, dell’attività muscolare e di altre funzioni corporee durante il sonno. Può essere utile inoltre tenere una registrazione del tipo di sonno. Distinguiamo diversi tipi di disturbi: l’insonnia iniziale (quando il paziente fatica ad addormentarsi), centrale (caratterizzata da frequenti e sostenuti risvegli durante la notte) e tardiva (caratterizzata da risveglio mattutino precoce). Esiste anche un’insonnia soggettiva, ovvero la percezione di dormire poco e male, nonostante i dati oggettivi dimostrino il contrario e la persona dorma più o meno regolarmente. Terapia psico farmacologica dell’Insonnia e dei Disturbi del SonnoGli obiettivi principali della gestione terapeutica dell’insonnia consistono nell’aumentare la qualità e la quantità del sonno, nel ridurne il tempo di latenza e nel migliorare le funzioni diurne. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico dell’insonnia, la strategia di intervento “a gradini” prevede come approccio terapeutico di prima scelta l’impiego delle benzodìazepine ad emivita breve – breve/intermedia: la scelta degli agenti da utilizzare deve tenere conto di una serie di fattori importanti tra cui si annoverano il pattern dei sintomi, la risposta a precedenti terapie, la preferenza dei paziente, la disponibilità di altri trattamenti, le comorbidità, le controindicazioni, gli effetti collaterali, le interazioni con le terapie concomitanti ed i costi. La maggior parte delle persone che chiedono un trattamento per l’insonnia presentano qualchesintomo psicologico di ansia e depressione. Ecco perchè un percorso psicologico potrebbe essere utile a migliorare il sonno andando a contrastare la sottostante condizione ansiosa o depressiva. PSICOGERIATRIA. LO PSICHIATRA DELLA TERZA ETÀChi è lo psicogeriatraLe competenze dello psicogeriatra non si limitano a quelle specifiche della psichiatria ma si estendono anche alle patologie di carattere somatico tipiche dell’anziano e alle relative terapie che possono addirittura essere, in alcuni casi, la causa dello scompenso psichico stesso. Si costituisce così una nuova competenza, quella della psicogeriatria, che nei prossimi anni assumerà sempre più importanza nella nostra società. Gli anziani raramente esprimono il loro disagio parlando di “tristezza o apatia”, come invece fanno i più giovani. Si tratta quasi sempre di lamentele su problemi fisici: per intenderci, i dolori e i cosiddetti acciacchi tipici della vecchiaia. A volte, questi non sono altro che il sintomo di un disagio più profondo, che affonda le sue radici in un vero e proprio disturbo psichico. Le persone anziane sono spesso costrette in situazioni sociali di grande disagio e spesso sono soli. In un simile contesto, qualunque problema psichico si amplifica. Il soggetto anziano diventa inoltre più vulnerabile a sviluppare polipatologie e a manifestare disturbi psicopatologici, con maggiore frequenza che nei giovani adulti, anche in risposta a condizioni psicosociali sfavorevoli. Al giorno d’oggi questa condizione senile è trattabile! E’ però necessario rivolgersi ad uno Specialista! Contattami o fissa un appuntamento per conoscere come l’applicazione di un protocollo integrato di farmacoterapia e colloqui psicoeducativi possano contrastare l’evolvere del disagio senile ! La valutazione psicogeriatricaÈ per questi motivi, dunque, che la valutazione del paziente psicogeriatrico, qualunque sia il disturbo psicocomportamentale che manifesta, non può essere limitata all’analisi del solo disturbo psicopatologico, ma deve essere integrata in una più ampia indagine che tenga conto di tutti gli aspetti (fattori biopsicosociali) che determinano lo stato di salute del soggetto anziano. Sono tanti i nemici che minacciano l’equilibrio psichico degli over 65: dai disturbi psichiatrici “classici” come schizofrenia, sindrome bipolare e depressione fino alla demenza senile. Questa emerge a volte solo con iniziali sintomi depressivi, mentre in altri casi può accompagnarsi a patologie d’altro tipo come il Parkinson. La visita in psicogeriatriaIn psicogeriatria la visita deve prendere in considerazione lo stato cognitivo dell’anziano in quanto una compromissione a questo livello è spesso presente e, in alcuni casi, può essere utile eseguire un approfondimento neuropsicologico per meglio determinarne il grado o per valutarne l’evolutività nel tempo. Disturbi psichici dell’anzianoLa demenza è una compromissione progressiva ed irreversibile dell’intelletto che aumenta con l’età; è una patologia che si sviluppa nel tempo e che porta gradualmente a perdere le funzioni mentali precedentemente acquisite. Le alterazioni di cui e’ responsabile coinvolgono la memoria, il linguaggio e i disturbi del comportamento come per esempio agitazione, irrequietezza, vagabondaggio, rabbia, violenza, tendenza ad urlare, disinibizione, disturbi del sonno e deliri. I disturbi depressivi sono presenti in circa il 15% degli anziani. Sono presenti tutti i sintomi tipici della depressione nella popolazione non anziana ma a volte sono più difficili da identificare e possono essere confusi con quadri di deterioramento cognitivo; in questi casi si parla di pseudodemenza laddove si debba discriminare tra il deterioramento cognitivo nei soggetti geriatrici depressi (mancanza di attenzione, di concentrazione, deficit di memoria) e quello presente in una demenza vera e propria. E’ molto importante cercare di intervenire tempestivamente perché la prognosi migliora molto se le cure vengono avviate in tempo. La terapiaLo scopo principale della terapia farmacologica in psicogeriatria è quello di tentare di migliorare la qualità della vita cercando di mantenere il paziente il più a lungo possibile nella comunità. |